Ormai è passato un mese dalla pubblicazione della prima stagione di GLOW da parte di Netflix, eppure ho come l'impressione che non abbia destato l'attenzione che meriterebbe. Ha ricevuto ottime recensioni su varie testate, ancora oggi c'è chi ne sta scrivendo (come me) eppure manca ancora quell'idea nell'aria, quel continuo parlarne che consacra un prodotto a vero e proprio must. Ed è un peccato, perché GLOW è la serie tv più fresca che abbia visto ultimamente e per cui devo combattere con me stesso per non ricominciarla ad intervalli regolari.
Ruth Wilder è un'attrice alla ricerca di un ruolo di spessore che non la rileghi ad essere un'ombra della donna che è. La mancanza di un lavoro, della possibilità di sostenersi e di persone che la prendano sul serio spingono Ruth verso la disperazione che la spingerà a presentarsi ad un provino assolutamente non convenzionale.
Qui conoscerà e cercherà di entrare nel roster di GLOW (Gorgeous Ladies of Wrestling) e, grazie al suo modo di fare preciso da attrice, entrerà subito nelle antipatie del regista Sam Sylvia. Da questo momento in poi, Ruth non sarà più sola, ma lotterà per migliorare assieme ad altre donne straordinarie, tutte con una loro storia e un loro desiderio di rivalsa.
Durante i dieci episodi della serie Ruth rimarrà comunque la protagonista, affiancata da Sam e dalla "migliore amica" Debbie Eagan, in quanto sarà la loro storia a reggere gli sviluppi delle puntate. Ciò non significa, però, che gli altri personaggi siano relegati a mere comparse: in un modo o nell'altro, ognuna delle ragazze riesce a mettere in mostra il suo carattere e una parte della propria storia e questa costruzione così coerente e ramificata di personaggi è uno dei punti di forza che rendono GLOW interessante.
Distaccandoci un attimo dalla serie Netflix, un programma televisivo altamente basato su stereotipi e poco politicamente corretto chiamato G.L.O.W. è realmente esistito negli anni '80, ma la serie di Liz Flahive e Carly Mensch ne ha preso solo il periodo storico e le fondamenta del programma. Non è stato mantenuto nessun nome e nessuna wrestler durante la serie e la cosa non può che far bene al suo sviluppo e alla sua identità.
GLOW non vuole essere una rievocazione storica o un documentario sul wrestling o sulla condizione della donna, ma è una commedia con un pizzico di drama che tocca argomenti interessanti e sfrutta la passione per il wrestling e l'emancipazione della donna per creare qualcosa di unico e vero, emozionante a pelle e in grado di catturare molto più che l'attenzione. A proposito della passione per il wrestling: ci saranno tante belle sorprese sotto forma di cameo per chi segue questo intrattenimento con dedizione da un po' di tempo.
Non ho detto che gli anni '80 sono stati presi solo come periodo di riferimento: al contrario di Stranger Things, GLOW non cerca di trasportarti in quel periodo con riferimenti, fotografia e regia ma mantiene un taglio moderno su questi aspetti pur chiaramente usando il periodo storico come base della narrazione e dei costumi.
Vedrete lustrini, luci al neon, costumi esagerati, telefoni cellulari e enormi robot in grado di servire qualsiasi cosa che Emilio il Meglio non è nessuno, ma servirà tutto a definire un'era più che a riviverla. In un certo senso, la serie Netflix ignora e aggira la moda Nostalgia più che cavalcarla.
La prima stagione di GLOW scorre leggera e veloce con le sue dieci puntate da circa 30' e porta sui nostri schermi personali una storia abbastanza conclusa da essere apprezzabile così com'è ma con ancora tanto da esplorare sui vari personaggi da volerne un seguito. Rendendo più centrali i vari personaggi secondari e portandone avanti l'evoluzione (un po' come fatto con la seconda stagione di Orange Is The New Black) si potrebbe avere facilmente una seconda stagione meritevole di essere seguita e amata. Inoltre, non stupitevi della strana voglia di vedere un match di wrestling che proverete una volta finita la prima stagione, significa solo che siete umani.
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